In ambito linguistico, una lingua è definita come “un dialetto che ha fatto carriera”, il che sta a significare che l’unica cosa che distingue una lingua da un dialetto è il suo prestigio tra i parlanti e non certo presunte differenze strutturali che rendono il dialetto “inferiore”. Se tra i dialetti italiani quello che è stato promosso a lingua nazionale – per ragioni storiche e culturali – è il fiorentino del Trecento (con le debite evoluzioni fino ai giorni nostri, s’intende), è vero anche che nella nostra penisola ci sono un’infinità di dialetti italiani degni di nota per la loro storia e la loro particolarità, tanto che eDreams aiuta i viaggiatori con un frasario sulle espressioni in dialetto da conoscere assolutamente per un viaggio in Italia.
Tra i dialetti italiani più ricchi di storia c’è ovviamente anche il nostro, il siciliano, che è considerato secondo l’UNESCO una vera e propria lingua madre, tanto che i siciliani che parlano sia il dialetto che l’italiano (oltre 5 milioni di individui sono sull’isola) sono considerati bilingui. In più, secondo i linguisti, la lingua siciliana non deriverebbe dall’italiano, ma come la lingua nazionale sarebbe invece un’evoluzione diretta dal latino volgare, da cui il dialetto siciliano è stato fortemente influenzato, anche se in maniera lenta e contrastata dalle lotte tra Roma e Cartagine. Compiendo un’analisi approfondita, si possono rintracciare due livelli di influenza: una più arcaica, basata sul sistema fonetico latino, con le vocali finali pronunciate sempre in maniera chiara (a differenza di quanto accade negli altri dialetti italiani meridionali), e una più recente, influenzata da correnti bizantine. È per questo motivo che il siciliano – anche se non ha ottenuto per il momento alcun riconoscimento ufficiale da parte della Repubblica Italiana – è considerato una lingua romanza al pari delle altre, tra le quali anche l’italiano, il francese e lo spagnolo. Vero è, però, che anche la dominazione greca, quella normanna e quella araba hanno apportato un’influenza considerevole sulla cultura del luogo e ovviamente anche sulla lingua, che oggi è il risultato di un’evoluzione continua nel corso dei secoli e della mescolanza di influssi diversi.
Anche se (giustamente) parliamo di lingua siciliana, i dialetti di questa zona si possono dividere in tre tipologie differenti: siciliano occidentale, diviso tra area palermitana, trapanese e agrigentina; siciliano centrale, diviso tra le aree nisseno-ennese, agrigentina orientale e delle Madonie; e siciliano orientale, diviso in area siracusano-catanese, nord orientale, messinese e sud orientale. Ma se pensiamo di essere i soli qui, nella bella Sicilia, a parlare questo dialetto straordinario, ci sbagliamo di grosso: il siciliano – nelle sue molteplici varietà – è parlato anche da un numero non meglio precisato di persone emigrate o discendenti da emigrati delle aree geografiche dove il siciliano è madrelingua, in particolare quelle che in passato si sono trasferite negli Stati Uniti (dove addirittura si parla il cosiddetto “Siculish”, fenomeno linguistico che ha portato alla sicilianizzazione di moltissime parole inglesi), in Canada, in Australia, in Argentina, in Uruguay, in Venezuela, in Belgio, in Germania e nella Francia meridionale.
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