Per due anni è rimasto fermo per manutenzione, ma ora il Large Hadron Collider del Cern di Ginevra, diretto dall’italiana Fabiola Gianotti, ha ripreso alla grande la sua attività di ricerca, raggiungendo ieri un importante obiettivo: le collisioni tra protoni accelerati all’energia record di 13.000 miliardi di elettronvolt (13 Tev). E’ una potenza mai raggiunta prima, praticamente il doppio di quella di tre anni fa, la quale permise di scoprire il bosone di Higgs. “I primi tre anni di attività del LHC sono stati solo l’inizio del nostro viaggio di ricerca – ha dichiarato uno dei dirigenti del Cern, Rolf Heuer – è tempo per una nuova fisica; abbiamo visto i primi dati cominciare a scorrere, vedremo ora che cosa ci riveleranno sul funzionamento del nostro universo”. Quella che si è aperta ieri è la fase 2 (Run 2) del LHC, con i quattro esperimenti Alice, Atlas, Cms e LHCb che hanno iniziato a raccogliere stabilmente tutti i dati prodotti dalle collisioni ad altissima energia, e lo faranno per i prossimi tre anni aprendo nuovi scenari sull’universo subnucleare; c’è quindi molta eccitazione tra i ricercatori e gli ingegneri del LHC, tra cui figurano oltre 1.500 italiani, la metà dei quali coordinati dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. “L’Italia ha ricoperto un ruolo importante nella Run 2 – ha detto Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto – dopo anni di ricerca, durata mezzo secolo, si è riusciti a mettere le mani sul bosone di Higgs, che, posso dire, rappresenta uno stargate verso una nuova fisica che superi il modello standard conosciuto oggi”. “Il lavoro è appena iniziato – ha dichiarato Francesco Forti, capo del comitato di controllo del LHC – il comitato si riunirà proprio questa settimana per esaminare i piani degli esperimenti per la raccolta e l’analisi dei dati. In questo modo, si potranno individuare subito i segnali di nuove eventuali particelle”.