Stop totale ai vitalizi per i parlamentari condannati; il provvedimento delle Camere sul tema è alla sua “stretta finale” e giovedì (ieri n.d.r.) “sarà formalmente sottoposto, in contemporanea, agli organi competenti dei due rami del Parlamento”. E’ quanto dichiarato da una nota congiunta dei presidenti di Camera e Senato; inoltre, una petizione di 500mila firme contro i vitalizi ai condannati è stata consegnata mercoledì nelle mani del presidente del Senato Pietro Grasso e della presidente della Camera Laura Boldrini dal coordinatore nazionale di Libera, Enrico Fontana. La speranza, secondo Fontana, è che nella riunione di giovedì (ieri n.d.r.) della presidenza delle due Camere si sia giunti ad una decisione definitiva sul taglio dei vitalizi ai parlamentari condannati in via definitiva per reati gravi. “La storia dei parlamentari condannati in via definitiva per reati gravi o gravissimi – ha proseguito Fontana al termine dell’incontro con Grasso – che continuano a prendere i soldi pubblici dallo Stato è inaccettabile e sta raccogliendo sul web una protesta senza precedenti”.
“Quella contro i vitalizi per i condannati – ha spiegato Elisa Finocchiaro di Change.org – è una delle campagne più seguite sui social. I cittadini non si limitano a cliccare pro o contro, ma continuano poi a seguire tutto quello che si scrive o accade sul tema. Se temiamo l’ennesimo rinvio? Non credo proprio, sarebbe davvero difficile per le forze politiche spiegare all’opinione pubblica perchè non si riesca a prendere una decisione definitiva su un tema così sentito. Non credo che si avrà il coraggio di rinviare o di non decidere”.
Mentre le presidenze di Camera e Senato si riunivano, ieri si è tenuto in piazza Montecitorio un sit-in promosso da Libera – Gruppo Abele per sollecitare in qualche modo la decisione. Dalla Camera, dopo la riunione, è arrivata la decisione finale: non riceveranno più l’assegno vitalizio i deputati con condanne superiori a due anni per reati di mafia, terrorismo e contro la Pubblica Amministrazione. La situazione è stata più complicata in Senato, dove non è stato raggiunto un accordo e i numeri nell’ufficio di presidenza sono più stretti, ma alla fine è giunta l’approvazione della proposta.