La pensione diventa sempre più un miraggio e, andando avanti, sta diventando un’aspettativa lenta e lontanissima: dal primo gennaio 2016 saranno necessari 66 anni e 7 mesi per poter finalmente lasciare il lavoro e godersi la vecchiaia. Non più 66 anni e due mesi come quest’anno, un cambiamento imposto dalla crescita della cosiddetta “aspettativa media di vita”, che è ormai diventata un parametro fondamentale del sistema previdenziale Inps; un modo per garantire la sostenibilità. Essa fu varata con una legge dell’allora governo Berlusconi nel 2010, comprensiva di una cadenza triennale. Solamente nel 2019 l’aspettativa avrà un ritmo più velocizzato (due anni), come previsto dalla legge Fornero; da quando è stata introdotta, l’età pensionistica è aumentata di sette mesi. In ogni caso, i quattro mesi in più si valutano in base sia al minimo di età richiesto per la pensione che al minimo di anni di contributi per la pensione anticipata. Il risultato finale, come previsto dall’Inps, è che tra il 2016 e il 2018 gli uomini potranno andare in pensione a 66 anni e sette mesi (minimo venti anni di contributi). Invece, le donne del settore privato dovranno avere 65 anni e sette mesi, mentre le lavoratrici autonome dovranno aver compiuto 66 anni e un mese per poterne avere diritto; per le dipedenti pubbliche, infine, il limite d’età sarà lo stesso degli uomini, 66 anni e sette mesi. Crescerà di quattro mesi anche il massimo di età in base al quale il lavoratore dipendente può chiedere di restare al posto di lavoro, e cioè 70 anni e sette mesi, a partire dal 2016. Serviranno quattro mesi in più anche per ottenere la pensione di vecchiaia prevista per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995, con l’avvio del sistema contributivo.