Una sfavillante carriera cinematografica, colma di successi e riconoscimenti importanti, e una non meno folgorante vita da playboy incallito che lo ha portato però a trascorrere la vecchiaia da solo. E a pentirsi terribilmente. E’ quello che è successo al divo Jack Nicholson, attore amatissimo dal pubblico e amante disinteressato di oltre duemila donne (per sua stessa ammissione), che adesso, a settantasette anni suonati, si è guardato indietro ed ha deciso di dire basta alle avventure inconcludenti e di cercare un ultimo definitivo amore con cui condividere serenamente la vecchiaia, esorcizzando quella che da qualche anno è diventata la sua paura più grande: morire in solitudine. E’ stato lo stesso attore a dichiararlo, durante un’intervista confidenziale al magazine “Closer”. Nicholson ormai si è reso conto che l’immagine da sciupafemmine impenitente, una volta uno dei suoi assi nella manica, col tempo gli si è ritorta contro, dato che le donne, pur ammirandolo, non lo considererebbero credibile nè come romanticone e neppure come “serio”: “Non me la sento neanche più di corteggiare donne in pubblico – ha dichiarato il protagonista di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e “Shining” – è ridicolo alla mia età e poi le donne di me non si fidano molto”. Bè, è stata anche colpa sua perchè le relazioni importanti non gli sono mancate ed è stato l’attore stesso che, per immaturità o altro, le ha buttate all’aria: sposatosi una sola volta negli anni Sessanta con l’attrice Sandra Knight, che gli ha dato la figlia Jennifer, dal 1973 al 1989 Jack ebbe una relazione lunghissima e stabile con la collega Angelica Huston, figlia del grande regista John, che poi lo lasciò appena scoprì che stava per avere un figlio con un’altra donna. Questa è una macchia del suo passato che da allora lo ha reso lo scapolo più inaffidabile di Hollywood.
Ma Nicholson, ritiratosi da qualche anno dalle scene, ha raccontato di aver abbracciato la vita più sedentaria “dormendo anche fino a mezzogiorno” e di concedersi ormai “solamente qualche partitina a golf e tanta televisione”. D’altronde, questo lato tranquillo e solido era già venuto fuori in alcune pellicole che ha interpretato nel passato, come “Qualcosa è cambiato” (1997) nei panni di uno scrittore nevrotico redento dall’amore, che gli valse l’Oscar, “Tutto può succedere” (2003), in cui impersona un anziano playboy che troverà finalmente la stabilità affettiva e, soprattutto, “A proposito di Schmidt” (2002), dove interpreta forse il personaggio più a lui congeniale in questo momento: un vedovo che tenta di dimenticare la morte della moglie viaggiando in camper e trovandosi ad affrontare per la prima volta temi come la morte, la solitudine e l’amore.