La Corte Suprema indiana ha deciso di annullare la sentenza di ergastolo per gli italiani Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, in carcere da quattro anni a Varanasi con l’accusa di aver ucciso l’amico e compagno di viaggio Francesco Montis. I due giovani sono adesso liberi di tornare a casa in Italia. La sentenza è giunta del tutto inaspettata, tant’è che i due stessi imputati non ci volevano credere: “E’ uno scherzo?” hanno chiesto stupefatti al direttore del carcere quando questi gli ha comunicato l’esito; si conclude così una lunga odissea composta da palesi innocenze, processo sommario ed esami effettuati con superficialità. Cinque anni da reclusi all’interno del Carcere distrettuale di Varanasi, in condizioni climatiche ed igieniche proibitive. Tutto era iniziato nel dicembre 2009, quando Bruno e Boncompagni, rispettivamente di Albenga e Torino, decidono di partire per l’India con l’intenzione di festeggiarvi il Capodanno. A loro si aggiunge l’amico Francesco Montis, residente a Londra. I tre trascorrono un mese nel Paese, affascinati dalla cultura, facendo uso a volte di sostanze stupefacenti. Poi il dramma: la mattina del 4 febbraio 2010, Tomaso ed Elisabetta trovano Francesco agonizzante sul letto della loro stanza nell’hotel “Buddha di Chentgani” di Varanasi. Tentano di rianimarlo, ma la situazione è disperata; avvertono gli albergatori e fanno chiamare i soccorsi, mentre Bruno allerta l’ambasciata italiana e chiama il padre Euro in Italia. E’ l’inizio di un incubo: Tomaso ed Elisabetta vengono arrestati con l’accusa di aver ucciso Francesco per una presunta relazione clandestina tra i tre. Secondo l’autopsia eseguita sul cadavere di Montis, ci sono sul collo della vittima dei segni inequivocabili di strangolamento (poi si scoprì che gli esami erano stati effettuati da un oculista). La sentenza di ergastolo arriva immediatamente: a nulla valgono le proteste dei due che affermano che erano lungo il Gange a vedere l’alba la mattina del decesso e di non aver mai intrattenuto alcuna relazione amorosa, circostanza confermata anche da parenti e amici. Il corpo di Montis viene cremato e non è più possibile effettuare un’ulteriore autopsia. La madre del giovane sostiene che Montis potrebbe essere morto per asfissia dovuta all’assunzione di droghe, tenendo conto che il figlio soffriva di disturbi all’apparato respiratorio, e gli stessi Tomaso ed Elisabetta ammetteranno sempre di aver fatto uso di sostanze stupefacenti. Ma niente.
Le incongruenze, il calvario, la burocrazia, infine il ricorso e l’annullamento della sentenza
Per i due è un calvario di quattro anni: le famiglie fanno la spola tra India e Italia anche tre volte all’anno e Marina Maurizio, madre di Tomaso, arriva a trasferirsi a Varanasi per stare vicino al figlio. La burocrazia, poi, non aiuta, tanto che la Corte accetta dopo cinque anni di esaminare il ricorso dei due imputati, finchè non decide di annullare l’ergastolo e liberarli di fronte alle evidenti incongruenze. Resta da capire quali siano stati i misteriosi passaggi che hanno portato alla condanna di due innocenti con una chiara insufficienza di prove e con gli esami svolti sbrigativamente, infatti le famiglie dei due giovani hanno ipotizzato la causa in un presunto carrierismo tra i magistrati della giustizia indiana, smaniosi di farsi notare con la condanna di due stranieri.