Carmen Consoli, dopo cinque anni di (quasi preoccupante) assenza, ha pubblicato un nuovo album di brani inediti, “L’abitudine di tornare”, un titolo più che mai consono alla sua carriera di cantante, che non pubblica più album regolarmente come una volta. A cinque anni dall’ultimo cd “Elettra”, uscito nell’ottobre 2009, la cantante catanese è più in forma che mai, determinata ed anche indignata allo stesso tempo: “Io torno solo quando ho qualcosa da dire – ha dichiarato a “La Repubblica” – non sono una capace di imbrogliare e di scrivere canzoni a scadenza. Gli album sono una necessità impellente per l’industria discografica, per me sicuramente no, anzi, ero pronta a ritirarmi dalle scene se avessi perso l’ispirazione, non sono certo una diva ossessionata dall’apparire”. Parole sincere di una dei pochi artisti italiani che hanno, sempre e comunque, fatto ciò che hanno voluto e ritenevano giusto, senza mai adeguarsi alle regole del mainstream e del successo facile. E con “L’abitudine di tornare” Carmen vuole dire la sua con dieci canzoni che fotografano l’attuale situazione italiana: ormai il nostro è un Paese di cui non andare fieri, dall’isteria mediatica della canzone “La notte più lunga” che accoglie i barconi dei profughi fino alla coraggiosa “Esercito silente”, in cui descrive una Palermo ancora preda di Cosa Nostra e profondamente omertosa, con lo Stato sullo sfondo che lascia il cartello “assente”: “C’è molta indignazione, lo ammetto – ha detto Carmen – in questi cinque anni ho vissuto, ho scritto queste canzoni seguendo le esperienze, le emozioni e gli eventi di questo lasso di tempo. Avevo bisogno di stimoli ed anche avere mio figlio Carlo Giuseppe ha ovviamente cambiato il mio punto di vista sul mondo. Il parto è un momento di rinascita per una donna e la mia esperienza ha sicuramente influenzato il mio ultimo album”.
A diciannove anni dal suo esordio, Carmen si sente a volte fuori dal mondo, notando che è cambiato così drasticamente: “Ho compiuto quarant’anni a settembre e a volte mi sento vecchia. Preparandomi a presentare questo nuovo lavoro, avevo anche fatto incetta di pennarelli per firmare autografi, ma ho scoperto che adesso i fan vogliono solo i selfie e basta. Solo quelli! Forse sembrerò all’antica, ma credo che non puoi condividere una cosa, un’emozione nello stesso tempo in cui la vivi. Lo stesso discorso vale per la musica: oggi diventi famoso come cantante andando in tv, ma negli anni Novanta la gavetta era considerata ancora importante per creare qualcosa. Quando facevo i primi concerti a Catania, venivano a vedermi al massimo 20 persone, ma ho sempre saputo che gradualmente sarebbero aumentate”.
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