La Cineteca di Bologna non si smentisce mai e il prossimo 12 gennaio farà uscire in settanta sale italiane il film “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick, con Ryan Reynolds e Marisa Berenson, uscito esattamente quarant’anni fa, nel 1975. Per l’occasione, la pellicola è stata restaurata e verrà proiettata in lingua originale con i sottotitoli. Il film, oggi considerato tra i migliori di Kubrick, all’epoca non riscosse grande successo a causa di una certa lentezza (accuratamente studiata per emozionare di più) che non fu compresa dal pubblico e dalla critica, ma vinse comunque quattro Oscar, tra cui quello per i migliori costumi a Milena Canonero e quello per la fotografia, andato a John Alcott. Successivamente, fu rivalutato. Tratto da un romanzo dello scrittore inglese William Thackerary, il film racconta 35 anni della vita dell’avventuriero irlandese Redmond Barry, nell’Inghilterra del diciottesimo secolo. Dopo il successo scandalo di “Arancia Meccanica” (1972), Kubrick era intenzionato a girare un film storico ed aveva puntato su un ambizioso progetto dedicato a Napoleone Bonaparte, ma l’insuccesso del film “Waterloo”, uscito in quegli anni, gli fece cambiare idea sul soggetto. Decise di puntare su “Barry Lyndon”, apportandovi varie modifiche in seno alla sceneggiatura, come la voce in terza persona fuori campo che narra gli eventi (nel libro è Barry stesso che racconta) e la decisione di ampliare il personaggio di Lord Bullington, il figlio di Lady Lyndon, la contessa che Barry sposerà per mero interesse pecuniario, in lotta perenne contro il patrigno. Il film è rimasto impresso nell’immaginario collettivo per l’estrema accuratezza della ricostruzione storica e dei costumi e, vedendo il film, sembra di stare davvero viaggiando nel tempo. Kubrick voleva raccontare la quotidianità storica, al di fuori della pomposità con cui molti film storici vengono girati, e scelse con cura le location in Inghilterra e Irlanda, mentre per costruire le inquadrature si ispirò ai dipinti degli artisti Gainsborough, Constable e Hoghart; in certi casi, le scene sembrano effettivamente dei quadri che si animano. Anche il lavoro delle costumiste, Milena Canonero e Ulla – Britt Soderlund, fu eccezionale: insoddisfatta dai costumi che aveva trovato girando per l’Europa, a suo dire troppo teatrali, la Canonero decise di creare un laboratorio apposito per il film e di progettare personalmente i costumi, parrucche comprese, che dessero l’idea di un uso quotidiano e quasi logoro. Un lavoro immane, che coinvolse anche una piccola industria manifatturiera inglese.
L’utilizzo esclusivo della luce naturale
Un altro elemento che ha reso così particolare questo film è stata la volontà del regista americano di utilizzare la luce naturale per girare le sequenze, usando solo le candele per le scene in notturna. Quella che persino il direttore della fotografia Alcott giudicava una follia (all’epoca era necessario usare i riflettori per impressionare meglio le immagini su pellicola, oggi con il digitale è tutto diverso) si rivelò una scommessa vinta. Quelle immagini così nitide e pervase da un’atmosfera di antico e realistico furono realizzate con l’impiego di una pellicola con emulsioni ultrasensibili e con nuovi procedimenti di sviluppo e stampa. Ma fondamentale fu l’utilizzo degli obiettivi che Kubrick fece applicare alla macchina da presa: allora era appena uscito il Carl Zeiss a 50 mm con un’apertura focale massima di f/0,7, impiegato soprattutto per le riprese nelle spazio, e il regista insistette per averlo. In più, usò il formato panoramico Todd – AO, che permetteva profondità di campo spettacolari. L’obiettivo Zeiss, per la sua importanza, fu anche esposto durante la mostra al Palazzo delle Esposizioni nel 2007, insieme ad altri cimeli della Settima Arte.