Nuovo capitolo nella vicenda Bronzi di Riace/Expo di Milano 2015; questa volta Vittorio Sgarbi si infervora oltre ogni dire e si abbandona ad un sproloquio vecchio di cinquant’anni: “Gli unici che hanno rotto i [cosiddetti] sono quelli di Reggio Calabria, che non è nemmeno in Italia, la Calabria non è in Italia visibilmente”. L’occasione per la discutibile uscita dell’ambasciatore della Regione Lombardia per le belle arti si è rivelata la conferenza stampa di aggiornamento dei progetti, tenuta insieme al governatore della Lombardia Roberto Maroni; Sgarbi stava esprimendo soddisfazione per le risposte positive degli enti locali e dei musei italiani a cui sta chiedendo in prestito opere da esporre a Milano e in Lombardia in occasione dell’Esposizione internazionale del 2015. Ad un certo punto, si è dimostrato critico, secondo il suo consueto stile, riguardo il rifiuto del Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria di prestare i Bronzi di Riace per l’Expo: “I guerrieri si potevano trasportare, il no è stata una scelta politica di una commissione di deficienti, il primo dei quali nominato da noi e che ha votato contro di noi” ha aggiunto. Immediate sono arrivate le repliche, da parte del senatore e coordinatore regionale del Nuovo Centrodestra per la Calabria Antonio Gentile ed anche dal candidato presidente della Regione Calabria per Alternativa Popolare (Ncd – Udc) Nico D’Ascola: “Al prof. Sgarbi vorrei ricordare che è l’Italia a non essere in Calabria e non viceversa – ha dichiarato Gentile – le sue sono dichiarazioni inaccettabili, si scusi con i calabresi o Maroni lo faccia dimettere”.
Per D’Ascola si tratta di parole offensive e poco aderenti
“Maroni rimuova Sgarbi, le sue sono parole offensive e poco aderenti alla storia – ha detto D’Ascola – le sue gravissime affermazioni contro la Calabria meritano una censura seria; rivolgiamo quindi al governatore Maroni l’invito a rimuoverlo dall’incarico per Expo 2015. Noi stimiamo Sgarbi come critico d’arte, ma le sue offese ai calabresi sono inaccettabili perché non rispettano la storiografia: fummo noi, in Calabria, a dare il nome all’Italia”.