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Svelati i segreti di Qusayr ‘Amra grazie a restauratori italiani

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Filippo Mammì

Il castello delle Mille e una notte torna a risplendere in Giordania grazie ad un team italiano: si tratta del palazzo Qusayr ‘Amra, il cui proprietario fu il principe Walid Ibn Yazid, detto Walid II, il califfo della dinastia omayyade (la prima dopo l’avvento di Maometto) che regnò un solo anno, dal 743 al 744 d.C., quando fu ucciso durante una congiura. La citazione delle Mille e una Notte non è casuale: Walid II fu molto stimato durante la sua epoca e viene appunto nominato nella raccolta di fiabe da Sharazade, che lo indica come esempio di lealtà e generosità. Ma fu anche un uomo colto e raffinato, aperto alle correnti culturali al di fuori del Medio Oriente. E il suo castello è stato salvato dalle intemperie del deserto da un equipe di restauro, diretta dall’Istituto superiore per la conservazione e restauro del Ministero italiano per i beni culturali e il turismo, che vi ha lavorato per tre anni sotto la guida di Giovanna De Palma e Carlo Birrozzi. L’operazione oggi si è conclusa felicemente e, finanziata dal Dipartimento delle Antichità del Regno di Giordania, è diventata il tema di un convegno internazionale, che durerà fino a domani, dal titolo “I colori del Principe. Conservazione e conoscenza a Qusayr ‘Amra“. L’equipe italiana ha riportato completamente al suo antico splendore i colori e i disegni che coprono l’intero edificio nel deserto giordano, oltre 380 metri quadrati di figure. Si tratta di opere uniche nell’arte islamica, che riproducono anche volti umani, un elemento in contrasto con la legge coranica che vieta la rappresentazione del viso dell’uomo.

Il sito, patrimonio dell‘Unesco dal 1985, è tutto un profluvio di scene di caccia, attività di piacere, donne che danzano, artigiani che lavorano e, particolare importante, lo stesso Walid in trono insieme ad altri sei uomini regali: un sovrano cinese, un turco, l’imperatore persiano Cosroe, l’imperatore di Bisanzio, il negus d’Abissinia e il re visigoto Rodrigo. Esso dimostra come il principe aveva forse cercato di creare un ponte culturale e politico tra Oriente e Occidente; siamo ancora agli albori della religione musulmana ed essa è ancora aperta alle influenze bizantine del Mediterraneo. Agli italiani va anche il merito di aver attribuito con certezza gli affreschi a Walid II e di aver constatato, attraverso vari indizi, che li fece eseguire quando era ancora principe ereditario e non califfo.

Filippo Mammì

Sono giornalista professionista da due anni, ho 35 anni e sono di Reggio Calabria. Dopo un diploma in maturità classica e una laurea presso il DAMS dell'Unical (Università della Calabria) ho passato quasi dieci anni della mia vita a Roma, lavorando prima nel mondo del cinema (mansioni varie, niente di che!); in seguito, mi sono avvicinato al giornalismo (mia seconda passione dopo il cinema) frequentando il master di primo livello di Giornalismo presso la Lumsa, abilitativo all'esame da professionista presso l'ODG. Possiedo un blog su un sito locale e collaboro, oltre che con Cataniavera.it e Newspage.it, anche con Litalianews.it

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