Forse abolirà il carcere per i giornalisti e regolamenterà l’informazione su Internet, ma il nuovo Ddl sulla diffamazione a mezzo stampa, licenziato oggi dal Senato che ha approvato tutti e cinque gli articoli del provvedimento, sembra essere l’ennesima scusa per imporre il bavaglio alla stampa, in modo diverso. Il Senato ha dato l’ok per l’approvazione, confermando anche alcuni emendamenti con il parere favorevole del Governo, tra cui uno presentato dal Movimento 5 Stelle che riguarda l’estensione delle multe, salatissime, anche alle testate online. Il testo dovrà tornare alla Camera per il via libera definitivo. Vediamo i punti principali.
Niente più carcere per i giornalisti
Insieme alle “querele temerarie” è l’unica cosa positiva del nuovo decreto per i giornalisti, anche se, mentre abolisce definitivamente la pena detentiva per i cronisti colpevoli di diffamazione, sancisce una sanzione pecuniaria fino a diecimila euro. In aggiunta, se la diffamazione riguarda l’attribuzione di un fatto specifico contro una determinata persona, compiuta nella piena consapevolezza della propria falsità, la sanzione può anche essere aumentata di oltre cinquantamila euro. Se però c’è la rettifica, conforme alle regole, il giudice può valutare la non punibilità nè del direttore della testata e neppure dell’autore dell’articolo incriminato. Se il giornalista riconosciuto colpevole potrebbe risultare recidivo in futuro, scatta immediatamente l’interdizione da uno a sei mesi dalla professione. Insomma, se chiedi subito scusa, ti danno una bella pacca sulla spalla e via.
Rettifica e diritto all’oblio
La rettifica dovrà essere pubblicata gratuitamente ed entro due giorni dalla richiesta, senza risposta, senza commento e senza titolo, menzionando unicamente il titolo, la data e il nome dell’autore dell’articolo da rettificare; l’obbligo di rettifica vale, com’era già stabilito, per quotidiani, periodici, agenzie di stampa e, per la prima volta, anche per le testate giornalistiche on line, che dovranno inviare la rettifica agli utenti che hanno avuto accesso alla notizia cui si riferiscono. La rettifica non va pubblicata se contiene qualcosa di incriminabile oppure se è palesemente falsa. Anche se con la diffamazione c’entra poco e niente, il provvedimento regola nuovamente anche il diritto all’oblio: l’interessato può chiedere ai siti web o ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori oppure dei dati personali trattati in violazione della legge. In caso di rifiuto, il giudice, previa domanda dell’interessato, può ordinarne la rimozione.
“Querele temerarie” e responsabilità del direttore
Per fortuna, potrà venire punito anche chi utilizza le querele per minacciare palesemente il presunto autore di una diffamazione a mezzo stampa. Secondo il nuovo emendamento, su richiesta del convenuto, il giudice, con la sentenza di rigetto, può condannare al pagamento di una sanzione in via equitativa chi abbia agito in sede di giudizio in malafede o con colpa grave. Il giudice può anche condannare a un risarcimento equitativo il querelante, qualora dovesse risultare la temerarietà della sua querela. Nuovo punto importante, il direttore e il suo vice non risponderanno più “a titolo di colpa”, a meno che il delitto non sia conseguente alla violazione dei doveri di controllo sulla pubblicazione. In ogni caso, la pena sarà ridotta di un terzo, mentre è esclusa la pena accessoria di interdizione alla professione.
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