Addio all’ex generale Delfino, l’uomo dei grandi misteri italiani
Era stato uno dei protagonisti della Prima e poi anche della Seconda Repubblica, un personaggio figlio di un uomo mitico e fratello di un intellettuale sanguigno, osservato, sezionato, studiato per anni come si fa con un oggetto sacro o misterioso. Anche perché lui, con i misteri, si trovava a proprio agio. E’ morto ieri, a Santa Marinella (Rm), l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, una delle più controverse figure di 40 anni di storia italiana; avrebbe compiuto 78 anni il prossimo 27 settembre. Originario di Platì (Rc), era figlio di Giuseppe “Massaru Peppi” Delfino, il maresciallo dei carabinieri della Locride che, a dorso di mulo, andava a caccia di latitanti sui crinali dell’Aspromonte, talmente famoso da ispirare svariati aneddoti, tra cui il più illustre fu quello scritto dal grande scrittore Corrado Alvaro, e fratello di Antonio, intellettuale e grande studioso della Calabria e delle sue tradizioni, per anni preside di molti istituti scolastici lungo la Jonica. Già generale, Delfino fu degradato dopo la condanna per truffa aggravata in via definitiva nel processo riguardante la vicenda del sequestro dell’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini, nel quale era stato accusato di essersi fatto consegnare dalla famiglia dell’uomo 800 milioni che sarebbero dovuti servire per la sua liberazione. Ma, nel corso della sua vita, subì un’altro processo, quello per la strage di piazza della Loggia a Brescia nel 1974; in quell’anno, infatti, Delfino era il comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri della città lombarda e gli fu contestata l’accusa infamante di aver saputo del progetto della strage e di non aver fatto niente per fermarla.
Da quel processo ne era uscito completamente assolto nel 2012. Ma il suo nome resta legato anche ad altri misteri della Penisola: lui stesso ammise di aver fatto parte dei servizi segreti dal 1978 al 1987, ricoprendo ruoli importanti in tutta l’area del Centro Europa e, proprio in veste di 007, fu tra i primi ad ispezionare il luogo di morte del banchiere Roberto Calvi a Londra. Ebbe un ruolo anche nelle catture dei faccendieri Flavio Carboni e Francesco Pazienza, mentre in Piemonte gestì i primi interrogatori del pentito di Cosa Nostra Balduccio Di Maggio, che si era costituito a Novara per collaborare, fondamentali per la successiva cattura del boss dei boss Totò Riina. Una carriera certamente oscura, ma non torbida, che purtroppo fu anche infangata.